Per chi non lo conoscesse, il ponte della Ghisolfa è come la circonvallazione di Milano scavalca le Ferrovie. Primo che il tutto venisse chiuso e transennato, varie etnie erano solite vivere al suo riparo, far salire il fumo dei loro fuochi fino alla strada.
Come sostengo nel libro, è l’archetipo della Periferia. Tutto quello della periferia che abbiamo sempre immaginato. Marte. Il luogo inospitale dove è possibile sopravvivere solo con uno scafandro.
Prima storia.
Una notte, sul ponte della Ghisolfa, ho assistito alla scena più cupa che si possa immaginare. Sotto il ponte, tra la ferrovia e il palazzo abbandonato, sedevano in circolo cinque persone, con i cappucci delle felpe alzate. Parlavano animatamente, e muovevano le mani sopra ad un mucchio di oggetti che non riuscivo ad identificare.
Ad un certo punto uno dei congiurati si è alzato, ed ha cominciato a contare dei soldi.
Io ho continuato a camminare.
Seconda storia.
Camminavo sul ponte della Ghisolfa, erano le tre e mezza di sabato notte, ed ero leggermente ubriaco (ma questo è irrilevante).
Tornavo a casa, e nella direzione opposta una ragazza bionda e minuta, con uno zaino da trekking sulle spalle, trascinava un trolley che era una casa su ruote.
Sul ponte della Ghisolfa. Alle tre e mezza di sabato notte.
Mi bloccai. Ci incrociammo. Ci sbirciammo.
“Ti do 20 euro se mi dici dove stai andando” dissi.
Lei ha, curiosamente, tirato dritto.
Ora, i poliziotti, quando vedono qualcosa di strano, tirano fuori il tesserino e chiedono “Che succede qui?”
Ecco, io voglio un tesserino da scrittore. Se avessi avuto il mio tesserino sul ponte della Ghisolfa, l’avrei mostrato alla ragazza minuta e le avrei detto “Ciao. Spiegami tutto per filo e per segno. Soprattutto i particolari.”.
E lei si sarebbe fermata, si sarebbe tolta il pesante zaino da trekking con un sospiro, ci si sarebbe seduta sopra, e saremmo rimasti lì fino all’alba, sullo stretto marciapede del ponte della Ghisolfa, e fino all’alba mi avrebbe raccontato. E una storia di periferia sarebbe salva.